E’ sempre stata la mia prerogativa di giornalista che, per natura, si sente portato verso chi non ha voce per essere ascoltato. Un po’ come dire di volere mettere in primo piano coloro i quali sono gli ultimi, sconosciuti e quindi non considerati. Dentro un artigiano, un ambulante, c’è sempre un’anima, un umano da ascoltare, quell’umano che comunque ti resta dentro, va in profondità e ti fa pensare di essere grato di avere vissuto un’esperienza che ad altri può sembrare una solenne perdita di tempo. E’ un raccontare la propria vita attraverso l’altrui vita, l’altrui pensiero, l’altrui tutto. Storie personali che si intersecano tra periferie e incontri culturali di alto livello sociale che hanno sempre la stessa essenza, lo stesso sapore dell’umano sentire. E’ la capacità di sapere ascoltare che talora nella vita è più importante di imporsi, parlare, apparire, dire ciò che è il proprio pensiero. Certo, anche questo ha il suo grande valore per significare ciò che si è, tuttavia, l’ascolto ha la sua collocazione ben precisa del dare a chi ha bisogno di essere sentito, aiutato, per sentirsi vivo e non inutile. Sono spicchi di vita ed esperienze di persone poco considerate nella società moderna. Un mondo mediatico in cui ci racconta quasi sempre il male, le aggressioni, le sanguinose rivolte politiche, sociali e mai le fragilità di chi vive la propria disperazione in silenzio. Ecco, quando parlo di pezzi di vita che incontro per strada e poi raccontarli attraverso il mio essere cronista di vita, mi immagino il talk di chi ha qualcosa da raccontare. Ma a volte anche solo un’immagine, una situazione può colpire la nostra sensibilità, ed è tale che è bello ritornare a casa, mettersi davanti al computer e scrivere per raccontare agli altri ciò che hai visto, vissuto. E’ la narrazione del nostro quotidiano che ci appartiene in tutti i suoi risvolti, anche quando ascolti qualcuno che non è un parente, che non è un conoscente, che non è neanche un amico, è soltanto una persona qualunque come anche tu sei e hai la fortuna di raccoglierne pezzi di vita. Sono attimi, sono momenti che sfuggono alla maledetta fretta dell’oggi, in cui non sappiamo mai neanche noi dove stiamo andando. E invece c’è tanto da ascoltare per poi raccontare momenti che illuminano ed esortano a valorizzare il vissuto degli altri che si interseca al tuo. Dar voce alle madri, dar voce ai ragazzi, dar voce agli artisti di strada, dar voce a chi dal basso guida la direzione di una gru e guarda sempre verso l’alto, il cielo quando è azzurro o quando è plumbeo e carico di pioggia. Ecco, lì c’è l’uomo, c’è la sua essenza, c’è la persona, il lavoro, la famiglia, la fatica da raccontare, da narrare come pezzi di vita.
Salvino Cavallaro